Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

giovedì 29 maggio 2014

Dispaccio numero 10 e (per ora) ultimo: sempre più vicina.

© 2014 weast productions
Chi lo avrebbe detto: che sarebbe stata la paura a riaccendere il nostro amore consumato dagli anni. Spento, mai. Assestato, ecco. Quella paura che mi sta addosso come una pelle, e che mi verrebbe pure da ridere, parlando di pelle, visto che la mia di anni ne ha conosciuti e questa, nuova invece, è tesa e lucente come fosse appena cresciuta. Nuova davvero. Nuova da farmi scattare, mentre mi guardo alle spalle, sorpresa dalla tosse secca e cattiva degli spari, che se proprio lo devo dire schifo mi fanno, mio caro. E la mano, ora non più rinsecchita, la mia mano si avvicina a te, come allora, e ti tocca la schiena, chiedendoti aiuto. Aiutami a cadere, senza fondo, nel fondo del fondo, ti ricordi, mi piaceva dirtelo, con le mie parole inventate che mi uscivano fuori di senno, perché un po' lo ero. Oggi ti chiedo di tenermi in piedi, di darmi la forza di andare avanti quei quattro passi ancora che ci porteranno, forse, fuori tiro. Fuggono anche le due cagne, vedi, le randagie che ci stavano dietro per un pezzo di pane senza sapore che ancora stringo nella destra, dentro la plastica che potrebbe presto avvolgere anche noi. Io, morta di paura, so che senza di te non ce la farei. Ti sono sempre più vicina. Da te mi attendo la parola che produca il nostro uscirne vivi. 

martedì 27 maggio 2014

lunedì 26 maggio 2014

Dispaccio numero 8.

Faccia da reporter vuole ricordare anche Andrey Mironovo, l'interprete, il "fixer" morto insieme (al fianco) di Andy Rocchelli, entrambi colpiti da un mortaio probabilmente lanciato da una postazione dell'esercito ucraino nei pressi di Slaviansk. Senza persone come Mironovo il nostro lavoro sarebbe impossibile. Il Blog ne onora la memoria facendo il suo nome: Andrey Mironovo.

domenica 25 maggio 2014

Morte di un fotografo.

C'è, ora, la conferma ufficiale della morte di Andy Rocchelli, il fotogiornalista italiano morto ieri colpito da una scheggia di mortaio vicino alla città di Slaviansk nell'est dell'Ucraina. Il link alle sue foto e al collettivo Cesura di cui era stato fra i fondatori nel post precedente. Faccia da reporter vuole onorare la sua memoria facendo il suo nome: Andy Rocchelli. 

Dispaccio numero 6.

Ancora nessuna conferma ufficiale, ma nuove informazioni da Slaviansk secondo le quali sarebbe Andy Rocchelli il fotografo italiano ucciso ieri nell'est dell'Ucraina. Insieme a lui sarebbe morto anche l'interprete Andrey Mironov. Le foto di Andy sul sito di Cesura, collettivo di fotografia di cui è (scegliamo apposta il presente) tra i fondatori. 

Dispaccio numero 5: potevano dirmelo prima...

Fa l'impressione che fa la Storia quando gioca con la tua vita che non conta nulla: un'impressione pazzesca. Uno si sveglia la mattina presto e non è più nel Paese nel quale era quando si è addormentato.  Ieri sera sono andato a letto in Ucraina, Ucraina orientale, sia pure nella "Repubblica popolare di Donetsk". Questa mattina mi sono svegliato in Nuova Russia. Che è anche un nuovo Stato, uno Stato autoproclamato, va bene, ma ultimamente si autoproclama di tutto in Ucraina. È una bella botta da prendere di domenica. Pensa se non riconoscono la Svizzera, se il mio passaporto è carta straccia, se chiedono un visto che non ho, se mi chiedono di raccontare la storia di questo Stato che non conosco, di fare il nome dei padri fondatori, dei suoi martiri e dei suoi eroi.. Difficile: visto che non mostrano il volto (passamontagna nero) e non parlano con i giornalisti (a malapena li fotografi). È brava gente, ma fa una certa impressione.... Come fa impressione svegliarsi con la Storia che ti è passata sopra o accanto la notte appena trascorsa e mentre prendi il caffè guardi fuori dalla finestrella dell'appartamentino che ti stai affittando e ti accorgi che alla natura non gliene frega niente delle beghe degli umani: c'è una bella luce, un vento leggero, le foglie sono verdi e, se riuscissimo a sentirle, credo che suonerebbero come campanelle lontane, così mosse dall'aria come sono. Che domenica. Avere un hobby, da stargli dietro, e invece niente, solito testone con la fissa delle cose che accadono e che vanno raccontate. Eccomi accontentato: sono in un Paese nuovo, appena nato. Potevano anche dirmelo, cristo... 

venerdì 23 maggio 2014

Dispaccio numero 4.

L'immagine che segue non è adatta a un pubblico che non dispone, per età o predisposizione, della capacità (ma esiste davvero, questa capacità?), di gestire immagini di forte impatto emotivo, quali corpi senza vita, vittime della violenza scatenata dalla guerra o da quella che vogliono fare passare per tale. Perché molto spesso si tratta di violenza e basta, scatenata dagli interessi, dai soldi pagati per farti fare certe cose, dalla tua disponibilità innata a superare un confine terribile e terrificante. C'è chi dice che quanto sta succedendo in Ucraina è una guerra sponsorizzata da alcuni individui che hanno i soldi e quindi gli strumenti per agire sugli altri, per nutrire ideologie (o pseudo-tali), passioni, eccetera: molti soldi. Una guerra privata, insomma. Ci credo sempre di più, da anni: credo di averci creduto quasi da subito. Non sarebbe la prima alla quale assistiamo. Nel mondo arabo-musulmano si parla di "tribù", di "clan", di "famiglie" potenti e in grado di muovere piccoli eserciti. Qui sembra essere la stessa cosa. Possiamo fare finta che tutto questo non esiste, che stanno per arrivare i Mondiali di calcio e ci spaccheranno le palle con le partite spacciate per incontri dall'esito o tragico oppure risolutore. Faranno finta di farci ancora una volta, perché in realtà non ci fa nessuno: facciamo finta noi di lasciarci fare. Ed è un peccato. Perché basterebbe chiedere o un racconto del mondo serio oppure rivendicare il diritto di  passare un'estate tranquilla, sapendo che è un'eccezione, una delle poche che ci siano concesse al mondo.

Ora, se avete superato le condizioni poste dalla mia premessa, guardatela pure questa immagine: a stupirsi o a chiedersi come succeda che uno spinga sul grilletto per fare fuori l'altro che ha davanti, uno ci fa pure la figura del fesso. Di quello che non ha capito niente e che ha perso il treno. E va bene: treno perso e fesso diplomato. Non siamo in pochi. Tutto questo, cari lettori, sta succedendo in questi minuti, mentre leggete. Se credi che la guerra...

(c) 2014 weast productions / gianluca grossi

Dispaccio 3.

Due corpi senza vita messi sul retro di un camion. Come se dormissero. Due fratelli che si riposano. Sono due nazionalisti ammazzati dai separatisti in quella che nell'est dell'Ucraina è ormai una guerra in corso. Con la gente che ancora fa finta di credere alla normalità. E altra gente, quella vicina al fronte, ai fronti, che di normale non ha più niente, a cominciare dalle lunghe attese affinché una strada venga riaperta: per dare a tempo a chi si fa la guerra di ammazzarsi. Di farlo per bene. C'è, nell'essere umano, qualcosa che non cessa di spingermi alla ricerca: qualcosa di terrificante.

(c) 2014 weast productions
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(c) 2014 weast productions
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(c) 2014 weast productions

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(c) 2014 weast productions

Il senso del taccuino.

Domani nel Senso del taccuino sulla Regione "Nessuna voglia di guerra". Dispaccio dal fronte degli scontri in ucraina di cui Faccia da Reporter propone qui di seguito il solito estratto:

Le donne volano sui tacchi alti infilate dentro vestiti leggeri e colorati. Quella che chiamano estate è arrivata a Donetsk. Nessuno ha voglia di carri armati e di guerra. Eppure, la bestia se ne sta in agguato a una decine di chilometri dal centro e senza fretta osserva gli uomini armarsi e finire dentro la sua trappola. Fermo la macchina al posto di blocco principale che filtra il traffico (oggi quasi assente) in arrivo verso la città. Decine di separatisti (come chiamarli ? Kiev usa la parola « terroristi », loro si definiscono « partigiani ») armati pesantemente, con le mimetiche e i passamontagna neri sul volto parlottano nervosamente, si distribuiscono in gruppetti, mettono proiettili dentro i caricatori, urlano che gli « altri » sono « tutti fascisti ». Gli « altri » se ne stanno uno sdraiato sull’asfalto, l’altro sul pianale di carico di un autocarro. Sdraiati morti, circondati da chiazze di sangue caduto forse mentre uno dei corpi veniva scaricato. C’è sangue anche sulle ruote posteriori sinistre e sul serbatorio del diesel, pure sulla sinistra, una chiazza rossa sprayata : è lì che la morte si è messa al lavoro.  Sul petto del cadavere gettato sull’asfalto c’è, nell’ordine di percezione, un largo foro, forse quello del proiettile allargato con una baionettata, all’altezza del cuore, e poco sopra due svastiche tatuate. Siamo in tutto tre, massimo quattro  a fotografare questa scena : ci lasciano fare, spiegandoci che « più avanti » ce ne sono un buon centinaio di questi « nemici » che « fanno fuori la nostra gente ». Mi spiegano che i due morti facevano parte del «Battaglione Donbass », composto da volontari filoucraini. Chi sta dalla loro parte li chiama « patrioti ».  Non qui al posto di blocco. Qui si sposa questa narrazione del mondo: l’insurrezione è nata da un sentimento di avversità al governo provvisorio e « fascista » di Kiev che, domani, domenica, chiederà ai cittadini di rinnovare il Parlamento e di eleggere il nuovo presidente. Basta la scena al posto di blocco, con la violenza che chiama la morte e scaccia la pietà, a fare capire che si sta mettendo male per l’Ucraina.

(c) 2014 weast productions / Morto a un posto di blocco a Donetsk (24.5.2014)



mercoledì 21 maggio 2014

Dispaccio numero 2: Crossing lines.

(c) 2014 weast productions

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(c) 2014 weast productions

Dispaccio numero 1

(c) 2014 / weast productions
Lo sguardo di uno che prenderebbero per matto. Che invece ti dice qualcosa di importante, con gli occhi e con una lingua che non consoci. La certezza che hai davanti è trasparente. Le retrovie sono  tranquille. Da più avanti - sono ore di rotaie - giungono però voci di una realtà diversa. La sua non univoca interpretazione è il carburante di cui si nutre la violenza. Uno dei tanti. Nei prossimi giorni e con i prossimi dispacci cerchremo di andare a fondo. Di precipitarci dentro il teatro armato e feroce. Da domani anche sul Blog di Weast TV, se c'è connessione wi-fi e se c'è il tempo per postare.

sabato 17 maggio 2014

Se credi che la guerra...

© 2014 weast tv / Il materiale è pronto
A partire da lunedì 20 maggio, su Faccia da Reporter, sul Blog di Weast TV, sul canale Youtube di Weast TV e sugli altri nostri socials, dispacci e aggiornamenti in diretta e di fine giornata (anche di metà notte o metti pure di notte avanzata) da un viaggio che sta per partire. Alla scoperta, piuttosto che della contingenza, delle radici alle quali ci aggrappiamo, come esseri umani, quando facciamo finta di credere che la guerra e la violenza possano davvero cambiare qualcosa. Benvenuti, sin da ora, alla serie Se credi che la guerra…

martedì 13 maggio 2014

In memoria di Camille Lepage.

L'Eliseo ha confermato poco fa la morte violenta di Camille Lepage in Repubblica Centroafricana. Aveva 26 anni, era una fotogiornalista freelance, uguale a dire: libera. Il suo sito è sempre e ancora visibile QUI, con le sue fotografie. Come se Camille ci fosse ancora. Forse è così. Faccia da Reporter vuole onorare la sua memoria facendo il suo nome: Camille Lepage. 

venerdì 9 maggio 2014

Il senso del taccuino.

Domani nel Senso del Taccuino sulla Regione: "Raccontami la tua vita". Qui di seguito il solito estratto:

Un bicchierino non ha mai ucciso nessuno. Scende da cantarci sopra una canzone: “Ooohhh, mio amore, se fosse vero quello che mi scrivi, da me voleresti, portato dalle promesse che sussurri alle parole, rendendole leggere e misteriose, irresistibili come baci, aci, aci, aci”. Le parole. E il bicchierino, che diventano due e poi tre. Martini bianco: una poesia. Al terzo si ferma. Pausa: alle dieci di mattina, una signora che si rispetti sarebbe al massimo al terzo – se terzo deve essere – caffè. Tuttavia, a sessant'anni suonati ha ormai imparato a infischiarsene delle altre, di quelle sue coetanee o giù di lì, donne che se prima del nome non ci metti un “signora” davanti scoppia il finimondo. Lei, signora lo è dentro. Dicono, anzi, che i valori veri sono quelli che non si vedono. Fuori, è una che passa inosservata, dice lei. Non è vero. Così, seduta a un tavolo del ristorante di un autogrill, di fronte a una donna più giovane, la guardi. Il rumore furioso delle automobili che sfrecciano sull'autostrada arriva filtrato dalle ampie vetrate del ristorante e quel poco che passa, uguale a un temporale in avvicinamento ma ancora troppo lontano per inquietare, crea un curioso effetto di isolamento: le due donne in primo piano, tutta l'altra gente, seduta ad altri tavoli, sfocata e a comporre uno sfondo. 

giovedì 1 maggio 2014

Scatti.

Inaugurata mercoledì sera (30.4) l'esposizione Swiss Press Photo al Landesmuseum di Zurigo.

© 2014 weast productions
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