Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 18 agosto 2017

Scendano le madri per strada.

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Fermare una signora per strada, quasi mettendole paura, chiederle se posso scattare una fotografia e chiedere ancora a che cosa sta pensando mentre scatto. "Ai miei figli", risponde. Lo dice con un tono di voce che conduce alle infinità (eppure percettibili) di ciò che provano le madri. Anche oggi. Dopo quanto è accaduto. Anche prima. Anche prima, o se anche prima. Anche altrove. Ma oggi, soprattutto. Dopo quanto. Dopo ieri. E dopo. E prima. Primaedopoeoggi.

Mi ricorda mia madre, questa immagine: il suo meraviglioso sorriso che indicava la strada da seguire. Capace di tutto per proteggere "i suoi figli". Non soltanto con le preghiere, mai affidate a una chiesa o a un prete. Affidate al cielo. E punto. Quante madri ho incontrato, uguali, ovunque, in tutto il mondo, pronte a battersi, anche quando era troppo tardi.

Ascoltare le madri. Fino a capire l'immensa forza che hanno. Guerriere. Scendano le madri per strada, capaci loro per davvero di fare che bagnino il letto i dispensatori di violenza e provino vergogna e piccolezza e infine il sentimento del vuoto, rimediabile tuttavia, forse ancora, di fronte alla macchia, alla chiazza del bagnato. Capaci, credo, pensando a mia madre, alle madri, a queste madri, di farli a pezzi. Oh se capaci. Anche di farli a pezzi. Tutti quanti. Tutti quanti e. E senza eccezione. Consapevoli delle cose storte di questo mondo. Di tutte. Di. Tutte. Di quante sono. Loro. E nessun altro. Scendano le madri per strada. E soltanto. 

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