Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

sabato 9 dicembre 2017

(Quasi) tutta la vita.

IL SENSO DEL TACCUINO.      


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    Questa fotografia e quella del lancio di ieri mostra un ragazzino nella Striscia di Gaza all'interno dello studio di uno psichiatra. Nella fotografia di oggi il ragazzino ci osserva attraverso una radiografia del suo cranio. La madre dice che "è impazzito a causa delle bombe". Il medico dice che "non è il solo". La cronaca dice che sono tornate a cadere. Io dico che "non cambia mai nulla". E che voglio cominciare parlando d'altro. 
   
   Uno che al ristorante chiede “Allora, come va la tua vita vita coniugale?” alla ragazza seduta al lato opposto del tavolo, che non risponde, lo guarda però con una faccia che dice tutto, infine dice qualcosa anche lei: “Ci diamo dentro alla grande. Grazie, va tutto bene”. Adesso è quello che ha fatto la domanda a guardare la ragazza, con una faccia che soltanto gli uomini sanno fare, quando non sanno più cosa dire, e se disponessero di poteri speciali vorrebbero usarli subito per diventare invisibili e teletrasportarsi da un'altra parte, magari in un altro ristorante, per poi irrimediabilmente rifare la stessa domanda, a questo punto ridiventerebbero invisibili e si riteletrasporterebbero. 

   C'ero anch'io quando è stata formulata la domanda sulla “vita coniugale” della ragazza. Non allo stesso tavolo, ma c'ero. Stavo pensando a come interpretare la decisione del Presidente Trump di riconoscere Gerusalemme quale città capitale di Israele. Uno va al ristorante e pensa a Trump... La frase rivolta alla giovane donna mi ha strappato dalle braccia del Presidente e mi ha fatto ridere. L'ho preso come un segnale della vita, quasi volesse rivendicare il suo primato su quell'ammasso di pietre che è Gerusalemme. Il giorno dopo sorridevo ancora. Ho chiamato un mio caro amico a Betlemme. Al telefono ha risposto così: “Trump?”. E si è messo a ridere. Mi ha spiegato che è ancora troppo presto per capire come andrà a finire. Ha ragione. Ha aggiunto che qualcuno ci lascerà la vita. Non saranno mai i figli dei leader politici palestinesi, quelli di Ramallah o quelli di Gaza. Saranno dei poveri sfigati qualunque, mandati a tirare sassi contro i soldati israeliani armati fino ai denti. Il mio amico di Betlemme ha continuato dicendo che i figli dei leader e dei politici palestinesi studiano nelle università americane o britanniche. Ha aggiunto che nella giornata che si era appena conclusa aveva visto scontri un po' ovunque, nei villaggi attorno a Betlemme. Soldati israeliani da una parte, giovani palestinesi dall'altra. 

   Ho raccontato al mio amico di Betlemme la microstoria della sera prima, quella del ristorante. Lui ci ha pensato su, poi ha detto che la vita è uno spasso e che troppa gente non sa cosa farsene e che spesso chi saprebbe cosa farne non può farlo. Gli ho chiesto perché i palestinesi si sono incazzati tanto dopo la decisione di Trump, considerato che Gerusalemme è interamente controllata dagli israeliani. Ha risposto che è vero, ma che non puoi togliere proprio tutti i sogni alla gente, che la gente ha bisogno di un'illusione, almeno una, nella vita, alla quale stare dietro. 

   Il mio amico di Betlemme ha ragione: la decisione del Bullo della Casa Bianca di dichiarare Gerusalemme capitale di Israele è come prendere a schiaffi un poveraccio ormai a terra al quale, poco prima, hai spaccato le ossa. Hai già vinto, perché infierire? 

   Dopo essere rientrato dal ristorante e dopo la telefonata con il mio amico palestinese, ho ripensato a Gerusalemme: ci ho vissuto 9 anni, durante i quali l'ho vista cambiare a una velocità impressionante. Recentemente ci sono tornato, dopo qualche anno di assenza: era di nuovo cambiata. Provo una grande fatica a immaginare lo spazio per le illusioni, anche per una sola, concesso ai palestinesi. 

   Un aspetto positivo (anche se amaramente positivo) della decisione del Bullo della Casa Bianca di spostare l'ambasciata statunitense a Gerusalemme c'è: il mondo è tornato a parlare dei palestinesi. Ma come, esistono ancora? A ben guardare ce ne sarebbe un altro: ci permette di constatare come tutti i governanti che criticano questa decisione l'abbiano direttamente assecondata permettendo la trasformazione di Gerusalemme, dalla città vecchia ai quartieri fuori delle mura. I palestinesi, in buona parte musulmani, ma non soltanto, qualche cristiano è rimasto, vivono come gli indiani: in una riserva artificiale, controllata e circondata dalle autorità israeliane. 

   Sto arrossendo mentre lo scrivo, ma c'è anche un terzo aspetto (amaramente) positivo: stiamo capendo come tale complicità investa nella stessa misura anche l'Autorità palestinese e senza esclusione e senza eccezioni tutti i partiti politici palestinesi. Di fronte all'evidenza dell'inarrestabilità della colonizzazione israeliana della Cisgiordania (e della volontà del mondo di non fermarla) e quindi della oggettiva irrealizzabilità di uno Stato palestinese alle condizioni attuali, hanno tutti quanti preferito mantenere i privilegi legati alla loro pseudo-funzione anziché concludere di non avere più alcun ruolo serio da interpretare. Smantellare l'Autorità palestinese e dichiarare gli Accordi di Oslo non soltanto falliti, ma fallimentari, metterebbe Israele e il suo Governo di fronte alla reale responsabilità di dovere gestire milioni di persone di cui occupa illegalmente la terra in Cisgiordania (non lo dico io, lo dice il diritto internazionale). 

   C'è un ultimo aspetto positivo: la decisione di Trump ci permette di riflettere. Ad esempio su come i palestinesi siano tenuti in vita artificialmente dai contributi finanziari e dai programmi umanitari internazionali. Senza il fiume di milioni di dollari destinati ogni anno all'Autorità palestinese e senza la miriade di organizzazioni governative e non governative presenti sul terreno in Cisgiordania e Gaza, il compito di affrontare queste spese e di gestire questa rete toccherebbe a chi impedisce (politicamente e con fatti acquisiti sul terreno) la formazione di uno Stato (o di una struttura che gli assomigli) capace di funzionare in modo indipendente e politicamente maturo. Corruzione e clientelismo nell'Autorità nazionale palestinese sono la diretta conseguenza di una politica assistenzialista occidentale ma non soltanto (centrano anche gli Stati arabi) priva di visioni e immaginazione.

   Nel 2002, quando sono andato a vivere a Gerusalemme, avevo conosciuto alcuni ragazzi palestinesi. Li ho rivisti oggi: sono diventati uomini adulti. “È passata (quasi) tutta la vita”, dicono. Non hanno nemmeno quarant'anni. È passata in fretta. Se potessero diventerebbero invisibili e si teletrasporterebbero da un'altra parte. 

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